Il racconto di un’operazione di salvataggio in mare
Un podcast a bordo della nave Life Support con EMERGENCY
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Superare il rumore di fondo
di Paolo Giordano, scrittore e autore del podcast In viaggio non pregare
In occasione dell’uscita del nuovo podcast di Paolo Giordano per EMERGENCY, abbiamo fatto qualche domanda all’autore per farci raccontare la sua esperienza durante la registrazione di In viaggio non pregare.
“Ho trovato quasi tutto simile a quello che sapevo e che in realtà abbiamo tutti in testa molte immagini delle traversate, del mare, dei naufraghi, delle barche alla deriva, degli approdi. Però al tempo stesso è stato tutto estremamente diverso e questo non succede sempre nel fare le esperienze direttamente. Cioè non è la banale differenza che c'è tra l'immaginare una cosa e sperimentarla. È più profondo di così. In questo caso è come se, riguardo agli attraversamenti in mare ci fosse una rappresentazione molto codificata, molto uguale a se stessa, che nel tempo è diventata una specie di rumore di fondo anche, che quindi spesso - almeno in me - non produceva più reale immaginario e non era più una macchina di emozione, a meno di situazioni eccezionali, eccezionalmente tragiche come era stato Cutro. E quindi questa era una delle paure maggiori che io avevo nell'affrontare questo discorso. Cioè non era una paura del mare, non era una paura dell'esperienza, del dramma dell'esperienza, non era una paura del pericolo, era la paura di non trovare un accesso sentimentale e di forma a quello che avrei dovuto raccontare se fosse stato un reportage unicamente per iscritto. Infatti il podcast, che è una forma per me meno usuale, più misteriosa, sconosciuta, ma soprattutto una forma estremamente immersiva, se la si vuole usare in un certo modo, in questo contesto il podcast mi ha concesso quella possibilità. Ci ho intravisto nel fare un podcast la possibilità di trovare una chiave di accesso che non mi sembrasse già satura, data dagli anni di narrazioni accumulate sul. Sugli attraversamenti del mare e, al di là di tutto questo, per quanto mi ritenessi molto pronto, molto preparato dalle immagini e da ciò che sapevo in realtà il momento poi decisivo, cioè quello nel quale con il gommone di salvataggio ci siamo avvicinati alla barca dei naufraghi, è stato in realtà un momento che mi ha fortemente travolto anche emotivamente. Infatti nel racconto del podcast, questo viene poi lasciato alla presa diretta, ai rumori, a quei pochi commenti che io faccio lì per lì.
Spesso avevo molto sottovalutato io che cosa significhi proprio tecnicamente fare un soccorso in alto mare con delle barche sovraffollate, spesso in cattive condizioni, a volte col mare alto e con persone che spesso non sanno nuotare in situazioni di forte stress e a volte di notte. Ecco, avevo molto sottovalutato la difficoltà tecnica di tutto questo. In realtà mi viene da dire che la stragrande maggioranza degli sforzi e della concentrazione che ci sono a bordo della Life Support sta nelle procedure con cui effettuare i soccorsi in sicurezza, innanzitutto per i soccorritori e per i naufraghi. Mi sono stupito di quanto ci sia da imparare, di quanto ci fosse da imparare, di tutto questo, di quanto l'addestramento dovesse essere specifico, di quanto la varietà dei casi che ti si possono presentare davanti in quei pochi minuti sia enorme e che cosa significhi essere preparati a tutte queste eventualità. Quindi quello che spesso scambiamo per uno slancio come dire di generosità e di idealismo, di altruismo e invece è l’attività estremamente professionale di persone addestrate per questo.
Non so se sia importante fare un podcast come questo. Voglio - e me lo sono imposto da prima di salire sulla nave - uscire assolutamente dalle sovrastrutture moralistiche che riguardano gli attraversamenti in mare. È molto difficile questo, ovviamente, impossibile. Il nostro moralismo è stato spesso anche manipolato in questi ultimi anni, anche in modo molto cinico. E quindi io volevo starne alla larga e volevo semplicemente osservare e raccontare e trasmettere questa esperienza che io ho avuto il privilegio - perché lo considero un privilegio - di fare e che la maggior parte delle persone non possono fare. E quindi l'intenzione del podcast - in questo il podcast è straordinariamente efficace- è quello di portarti dentro la situazione. E abbiamo lavorato, proprio in questo senso, cioè utilizzando il podcast come una forma di attraversamento sonoro anche senza il ricatto delle immagini. Quindi secondo me rimane, è proprio uno strumento adatto per concedere, rispetto a questo tipo di argomento, quel giusto equilibrio tra trovarsi vicino ed essere liberi anche dall’immaginario pregresso. Ecco, io ho l'ambizione che In viaggio non pregare sia, di una cosa di cui abbiamo tanto materiale formato nella testa, sia un'esperienza nuova.”
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di Daniele Marinello, sound designer
Sono in mezzo al Mediterraneo con uno zaino pieno di registratori e microfoni, molti cavi e pile, tre cuffie, due hard disk e un computer. Sono ben attrezzato, ma non ho sempre il controllo totale della situazione.
Il rumore è un fattore che non si può ignorare nella mappatura sonora della Life Support. Per registrare le interviste ci rifugiamo in ufficio, una delle stanze più distanti dalla sala macchine; ma l'obiettivo non è avere una resa sonora asettica, c'è qualcosa di fondamentale da raccogliere anche nelle voci che si accavallano in ore ed ore di briefing quotidiani, nel chiasso delle esercitazioni, nel sottofondo costante del suono dei motori e del mare contro la prua e dell'acqua che schizza sul ponte, nel silenzio teso della guardia notturna. Decine di gigabyte di suoni, conversazioni e ambienti, la maggior parte dei quali naturalmente non vedrà la luce nel prodotto finale. Ma ogni frammento catturato è prezioso per mettere a fuoco, un tassello alla volta, il senso di ciò che si fa a bordo della nave di EMERGENCY.
La circostanza che più mi mette alla prova è il soccorso dei naufraghi. Il fatto è che su questa fase del lavoro, la più cruciale, non ho alcun controllo diretto: sulla barca di soccorso di EMERGENCY salirà soltanto Paolo. In parte bisognerà quindi improvvisare e sperare di avere fortuna. Prima che Paolo indossi la tuta impermeabile gli metto a tracolla, in modo che resti riparato dall'acqua, un marsupio che contiene un piccolo registratore, già acceso, a cui è connesso un microfono lavalier, che gli pinzo meglio che posso alla bretella della salopette. Il microfono ha un cappuccio di spugna che lo ripara dal vento, ma di aria ce ne sarà tanta sul RHIB e quindi assicuro la spugna al microfono con diversi giri di gaffa, sperando che tenga. Guardo Paolo salire sul RHIB con una certa apprensione, con il mio registratore puntato in contemporanea su ciò che accade sul ponte, campo e controcampo.
Un paio d’ore dopo sono seduto sul mio letto, ho tra le mani il registratore recuperato dal marsupio, il lavalier che penzola ancora avvolto nella gaffa. Metto le cuffie e, con un po' di emozione, realizzo che è andata bene. Ritrovo la mia voce all'inizio della registrazione, mentre assicuro il microfono alla tuta di Paolo. Poi la salita sul RHIB, l'avvicinamento al gommone, l'emozione di Paolo, le istruzioni dei soccorritori, le voci dei naufraghi.
Anche per me è un momento carico di emozioni e sento un grande senso di responsabilità all’idea di testimoniare tutto ciò.
Non era scontato riuscire a collezionare tanto materiale prezioso, così come non era scontato il buon esito della missione 20 nel suo complesso. La speranza è che il nostro contributo sia stato utile a raccontare da vicino, con rispetto, il significato di questo viaggio e che il materiale sonoro registrato, la cui forma definitiva è il frutto del premuroso lavoro di molti colleghi dietro le quinte, possa restituire in maniera vivida il caleidoscopio di storie che abbiamo conosciuto a bordo della Life Support.
di Francesca Abruzzese, autrice
Le ceneri di Angela è un libro di memorie scritto da Frank McCourt e pubblicato per la prima volta nel corso del 1996. È un racconto personale - affrontato con una buona dose di black humor - della sua vita di immigrato irlandese in America, poi costretto a tornare in Irlanda. Il piccolo Frank nasce in un contesto di estrema povertà - suo padre passa tutto il giorno a spendere il sussidio di disoccupazione nei pub - e si trova ad attraversare una serie di perdite e malattie. Ma la cosa che colpisce di più, forse, è come diventano necessarie le piccole cose per mantenere una “sana” normalità. Il suo racconto introspettivo ma anche dissacrante, racconta con sincerità la lotta fisica ed emotiva per la sopravvivenza, quando l’ultima occasione che rimane è partire e lasciare la tua casa dietro di te.
I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi.
Gino Strada
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Un percorso formativo, nato anche dall’esperienza della nostra Chora Academy, che vuole fornire competenze a 360 gradi nell’ambito del giornalismo online e dei nuovi media.
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